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Tu sei qui: Salute e BenessereCovid-19, l’intervista allo pneumologo Di Buono: «Contagiosità in aumento ma terapie più adeguate. Tamponi solo dopo 5 giorni dal contatto»
Scritto da (Maria Abate), venerdì 6 novembre 2020 11:37:57
Ultimo aggiornamento venerdì 6 novembre 2020 14:52:07
In questo clima di particolare apprensione, dovuto al fatto che il Covid-19 è giunto anche in Costiera Amalfitana, Positano notizie ha intervistato il dott. Luigi Di Buono, specialista in pneumologia e consulente del medico di base di Maiori Raffaele Vitagliano, per avere un quadro su questa malattia che, essendo ancora relativamente nuova, genera molti dubbi e paure.
Di Buono, adesso in quiescenza, è stato dirigente medico del Polo Pneumologico dell'Ospedale "Mauro Scarlato" di Scafati e ci ha accolti con entusiasmo nel suo studio per spiegare in parole povere come agisce il virus e come comportarci.
In Costiera Amalfitana, nonostante i positivi crescano di giorno in giorno, i pazienti affetti da Covid-19 riescono ad essere curati grazie al supporto dei medici di base. Soltanto in pochi casi ci sono criticità tali da richiedere l'ospedalizzazione.
Per questi motivi, il dottor Di Buono ha sottolineato l'importanza dei medici di base nella gestione della pandemia.
«Obiettivamente con la seconda ondata è cambiato molto. Bisogna essere modesti, ma noi stiamo parlando comunque di un qualcosa che era totalmente sconosciuto al mondo scientifico. Il personale medico ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane, durante la prima ondata, e anche i medici di base sono stati estremamente penalizzati perché sono andati a mani nude a combattere questo nemico. All'epoca non era chiaro nemmeno come ci si dovrebbe proteggere da questo virus, che si è rivelato straordinariamente contagioso. La seconda ondata non ci ha colto impreparati: sappiamo esattamente cosa fare quando la patologia è umanamente gestibile. Quando poi evidentemente insorge un'insufficienza respiratoria il discorso cambia perché bisogna andare in ospedale e il territorio non può farsi più carico di emergenze di questa portata», ha detto.
Un altro aspetto trattato è stato quello della "corsa al tampone", che si sta verificando da quando la Regione Campania ha autorizzato i laboratori privati a effettuare i test per poi comunicare gli esiti alla piattaforma sanitaria regionale. Uno strumento che doveva snellire le operazioni di "contact tracing" a carico delle Asl ma che sta producendo in alcuni casi l'effetto opposto perché molti cittadini vanno a farsi il tampone anche senza un reale motivo.
«I tamponi - spiega Di Buono - andrebbero gestiti con oculatezza perché hanno un carico e un costo sia per i laboratori privati sia per il sistema sanitario nazionale. Al tampone deve ricorrere ogni persona che ha avuto contatti con persone successivamente risultate positive al Covid-19, tra la quinta e la settima giornata, non immediatamente dopo il contatto. Conviene prima far scemare l'ansia e attendere. Il tampone è un sistema altamente sensibile ma se condotto in tempi non idonei può dare dei falsi negativi».
Dunque, il tampone va fatto se sono intercorsi 5 o 7 giorni da un contatto stretto, che - specifica il medico - avviene in un «ambiente confinato, per più di 10 minuti, in una zona dove non c'è aerazione e quando non c'è stata nemmeno la protezione con mascherina», oppure se compare una sintomatologia che a giudizio del medico curante è riconducibile al Covid.
A porre la domanda chiarificatrice su contagiosità e patogenicità del virus è stato il medico Vitagliano. «Sono appena un medico pneumologo, non un virologo, però ho l'impressione clinica - ha affermato Di Buono -che il virus non abbia ancora perso tanto della sua patogenicità. È anche vero che noi siamo più in grado di gestirlo: abbiamo capito qual è il suo trofismo, come si diffonde e come contrastarlo. Certo è che la contagiosità è cambiata in peggio, è più elevata, ma un caposaldo della microbiologia dice che quando un virus ha raggiunto una diffusione molto elevata tende a ridurre la sua patogenicità perché una volta che ha colonizzato la specie tende a voler conservare sé stesso. L'auspicio è che possa diventare un virus influenzale attenuato e confondersi con i tanti altri».
Quindi, ha tracciato una breve panoramica sulle terapie adottate. «Sull'aspetto clinico posso certamente dirti che adesso la terapia è molto più efficace: all'inizio ci dicevano che il cortisone non andava dato perché è un immunosoppressore, ma noi pneumologi abbiamo insistito e adesso il betametasone è un farmaco salvavita. L'altro farmaco che ha cambiato le carte in tavola è stato l'eparina, per prevenire l'embolie. C'è poi l'Azitromicina, un antibiotico che è utile per tutta la specie degli intracellulari ed ha -secondo studi diffusi - evidenza di tipo antiinfiammatorio e velatamente anche virale. Utilizzata per 9 o anche 15 giorni qualora c'è acclarata patologia polmonare viene tranquillamente affiancata dalle cefalosporine».
Durante l'intervista la figlia di una paziente positiva al Covid ha contattato il dott. Vitagliano che ha girato la telefonata direttamente al dott. Di Buono.
«Mia mamma - ha detto la signora al telefono - dopo una settimana di terapia ha ancora delle difficoltà: bruciore come se fosse una tracheite, ed è affaticata, avendo infatti soltanto qualche linea di febbre, non è ferma a letto».
«Ci sono delle comorbidità, cioè altre patologie: è diabetica, ipertesa? Ha mai avuto eventi aritmici significativi?», le ha chiesto immediatamente il dottore. Alla risposta negativa, ha consigliato di continuare l'azitromicina per altri nove giorni.
E poi ha spiegato: «L'affaticamento è comune a tutti i pazienti Covid-19, il virus porta stanchezza comunemente, anche tra gli asintomatici. La stanchezza, però, bisogna distinguerla da un problema di ossigenazione: consiglio di acquistare un saturimetro digitale, in farmacia o nei negozi di articoli sanitari, perché se il senso di stanchezza si coniuga a una saturazione che non scende al di sotto del 94% noi siamo in un range di sicurezza».
Quindi ha raccomandato di contattare il medico curante se dovesse insorgere tosse o iperpiressia (febbre alta): «In quel caso può esserci una complicazione e va iniziata la terapia con eparina. Le complicanze potrebbero avvenire dopo 7 giorni dal contagio: la presenza di un virus mai conosciuto dal sistema immunitario può provocare dei processi superinfiammatori che possono a loro volta portare alla complicanza d'organo».
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