Tu sei qui: Storia e StorieMaiori e i suoi nobili: tra sguardi diffidenti e l’ironia pungente di Annacce Annacce
Inserito da (Admin), martedì 23 settembre 2025 19:14:32
In una Maiori che ha saputo conservare il forte senso di identità popolare e storico, emerge la figura di Annacce Annacce, all'anagrafe Saverio Savastano, definito dagli appassionati come "influencer ante litteram". Nato nel primo quarto del secolo scorso, era un fotografo ambulante con una disabilità motoria, sempre armato di macchina fotografica a caccia di clienti da immortalare, ma poco incline ad inchinarsi alla nobiltà e alla borghesia locale, spesso viste con sospetto dalla comunità.
I nobili di Maiori, racconta Enzo Mammato, non godevano dell'onore volontario dei maioresi. Nonostante alcuni di loro indossassero il caratteristico copricapo "mmiezo Majure 'o cappiello a 3 pizzi", simile a quello dei preti, e occupassero il sedile a piazza dell'Olmo (oggi piazza Raffaele D'Amato), la loro presenza non era benvoluta. La borghesia nascente nei secoli scorsi non godeva di maggiore rispetto se non quando, attenta a mascherare le proprie umili origini, si presentava con quella che era la sua divisa sociale: l'"ombrellino di seta".
A definire con ironia e sagace cinismo l'atteggiamento verso queste classi sociali fu proprio il celebre Annacce Annacce, che con la sua frase storica ammoniva tanto i nobili che i borghesi: «T'add' accattà chi Nun te sape... i' a mo' ca te canosco, mbrellino 'e seta!»
Un monito rivolto a chi, con il suo ombrellino, cercava di ottenere favori o attenzioni dal popolino, ma che veniva immediatamente smascherato come un tentativo di vanità e strumentalizzazione sociali. L'abitudine di portare l'ombrellino non per ripararsi dalla pioggia, ma dal sole, era infatti un simbolo di chi tentava di elevarsi sopra la realtà comune, ma senza riuscirvi del tutto.
Annacce Annacce, fu dunque testimone e voce di una Maiori autentica, fatta di gente semplice che sapeva leggere oltre le apparenze, mantenendo un sano scetticismo verso chiunque volesse imporre un'onore non meritato.
La sua macchina fotografica avrà sicuramente immortalato volti, storie e contrasti, costruendo un archivio umano e sociale prezioso per comprendere le radici della comunità maioresi.
Foto: Massimiliano D'Uva
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