Tu sei qui: Flusso di CoscienzaLa Donna che ha strattonato Papa Francesco riceve la solidarietà di Sigismondo Nastri
Inserito da (admin), mercoledì 1 gennaio 2020 20:27:21
di Sigismondo Nastri
Era il 27 gennaio 1993. Pensavo a Karol Wojtyla, ai suoi appelli a spalancare le porte a Cristo, al ruolo, che Dio gli aveva affidato, di pellegrino d'amore, di giustizia e di pace nella nostra storia, mentre mi accingevo ad assistere a una delle udienze generali del mercoledì nell'aula "Paolo VI" in Vaticano.
Ero con un gruppo di colleghi, soci dell'Associazione salernitana della stampa, presieduta dall'amico Mimmo Focilli, che aveva organizzato il viaggio a Roma con l'autorevole appoggio di Angelo Scelzo. La immensa sala, progettata da Pierluigi Nervi, era gremita. Mi trovavo coinvolto in un'esperienza che, se m'incuriosiva, mi caricava pure di una indicibile tensione. Esaurite le formalità di rito, avevamo occupato le sedie nel settore a noi riservato. Stavamo ora aspettando il momento in cui Giovanni Paolo II sarebbe entrato dal fondo per portarsi, attraverso il lungo corridoio centrale, delimitato da transenne, sul palco dominato dal Cristo trionfante di Pericle Fazzini, dove le porpore cardinalizie componevano un ulteriore suggestivo elemento scenografico.
A ridosso delle transenne, all'improvviso, si avvertì uno spingi-spingi: segno che era cominciata la corsa alla conquista di una posizione privilegiata. I più fortunati - meglio, i più lesti - riuscirono a sistemarsi in prima fila.
La prontezza di riflessi mi consentì di essere nel ristretto numero di privilegiati - ristretto, si badi bene, rapportato a venti o venticinquemila persone - nonostante l'inesperienza, dovuta al fatto che non avevo mai partecipato, prima di allora, a un incontro col Papa.
Ed ecco che apparve, nella sua veste bianca, con uno sguardo affaticato eppure dolcissimo, di una luce capace di penetrare le pietre e le coscienze. Vi fu un applauso prolungato e assordante. Egli avanzava a piccoli passi, seguito da monsignori e dignitari, salutando, accarezzando, benedicendo. Tutti cercavano di coglierne, in presa diretta, un'immagine non di routine, nonostante fossero all'opera un fotografo e un operatore televisivo "ufficiali", ai quali era concessa una certa libertà d'azione.
Il mio desiderio più grande, vedere Giovanni Paolo II da vicino, si stava realizzando. Il Papa era costretto, via via, a fermarsi per ricevere i doni recatigli dai pellegrini venuti da ogni regione d'Italia e dall'estero.
Appena mi passò davanti, mi sporsi quanto potevo, oltre la balaustra, e gli presi la mano. Non fu lesto il fotografo a fissare l'attimo sulla pellicola. Io, intanto, non mollavo la presa. Si determinò una situazione imbarazzante, della quale non mi rendevo conto. Giovanni Paolo II, con delicatezza, cercava di liberarsi. Io lo tenevo stretto con tutta la forza che avevo. Ci riuscì solo dopo il flash. Quella foto, che ritirai lo stesso pomeriggio nella redazione dell'Osservatore Romano, la conservo tra le cose più care.
A riguardarla, rivivo l'episodio con immutata carica emotiva.
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